Capi delle sinagoghe
I capi delle sinagoghe o archisinagoghi (dal greco archisynagogos), erano i responsabili amministrativi delle sinagoghe nell'antichità ebraica. Figura paragonabile ai moderni parroci delle comunità cristiane, l'archisinagogo sovrintendeva al culto e all'organizzazione della vita religiosa locale.
Secondo le fonti evangeliche, questa categoria di dirigenti religiosi si mostrò generalmente favorevole a Gesù, costituendo un'eccezione rispetto all'atteggiamento più critico di altre componenti del clero ebraico del tempo.
Nota terminologica: mentre la traduzione corretta del termine greco è "archisinagogo", nell'Opera L’Evangelo come mi è stato rivelato di Maria Valtorta viene utilizzato il termine di “sinagogo”.
Ecco alcuni dei capi delle sinagoghe che incontriamo nell'Opera valtortiana:
- Abramo di Engaddi
- Capo della sinagoga di Afeca.[1]
- Capo della sinagoga di Corozim.[2]
- Capo della sinagoga di Ebron.[3]
- Capo della sinagoga di Gabaon.[4]
- Capo della sinagoga di Jutta.[5]
- Capo della sinagoga di Keriot.[6]
- Capo della sinagoga di Naim.[7]
- Cleofa di Emmaus, sinagogo
- Giairo di Cafarnao, sinagogo
- Giovanni di Efeso, discepolo
- Levi di Nazaret, sinagogo
- Malachia di Efraim, sinagogo.[8]
- Mattia di Cedes, sinagogo.[9]
- Matatia Siculo, il capo della sinagoga dei liberti romani a Gerusalemme.[10]
- Timoneo di Aera, giovane sinagogo del paese presso l'Acqua Speciosa, poi discepolo e futuro diacono.
Per saperne di più
Sinagoga deriva dal greco "synagogué" che significa "assemblea". Esse apparvero al tempo dell'Esilio babilonese (597 a.C. e 537 a.C.), dopo la distruzione del primo Tempio di Gerusalemme, momento di grandi prove e di grande ritorno alla fede per il popolo ebraico. Il latino "ecclesia" da cui deriva la parola "chiesa" ha lo stesso significato.
I fedeli vi si riunivano per il sabato (che iniziava il venerdì alle 18.00) e per ogni festa sotto la presidenza di un capo della sinagoga. Una tribuna era riservata a lui così come al lettore. Vi si faceva infatti la lettura di un brano della Legge e poi di un profeta. I rotoli sacri, manipolati da un servente, erano raggruppati nel "santo", isolato da un velo per richiamare il "santo dei santi" del Tempio. Il lettore poteva essere un fedele.
Dopo un'esortazione o dei commenti, come riferiscono numerosi passi del Vangelo, l'ufficio si concludeva con la formula rituale di benedizione (benedizione mosaica).
Le chiese, i templi e le moschee riprendono questo modello di luogo e di principio di culto a Dio.